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mercoledì 3 ottobre 2007

Vivere come un giglio nel campo

E noi dobbiamo solo esserci, ma semplicemente, ma con insistenza, come la terra concorde alle stagioni, chiara e oscura e tutta nello spazio, senza pretendere di posare in altro che nel reticolo degli influssi e delle forze, in cui le stelle si sentono sicure.

(Rainer Maria Rilke)


A marzo scrissi
un post dove alla morte di una cara amica dai tempi del liceo, legavo le parole di Etty Hillesum, il cui Diario proprio quell'amica mi aveva prestato da ragazzo e la cui lettura - sento con certezza - ha molto influito sul mio modo d'essere e vedere la vita.
Mi
sono appena imbattuto su internet in bellissimo brano del Diario di Etty Hillesum, che ricordo mi colpì tantissimo e continua a scuotermi. Eccolo.

Etty Hillesum
Diario [1941-1943]

Adelphi

Bisogna vivere con se stessi come con un popolo intero: allora si conoscono tutte le qualità degli uomini, buone e cattive. E se vogliamo perdonare agli altri, dobbiamo prima perdonare a noi stessi i nostri difetti. E’ forse la cosa più difficile, come constato così spesso negli altri e un tempo anche in me, ora non più: sapersi perdonare per i propri difetti e per i propri errori. Il che significa innanzitutto saperli generosamente accettare.

Vorrei proprio vivere come i gigli del campo. Se sapessimo capire il tempo presente lo impareremmo da lui: a vivere come un giglio nel campo.


Una volta ho scritto in uno di questi miei diari: vorrei poter tastare i contorni di questo tempo con la punta delle dita. Ero seduta alla mia scrivania, allora, e non sapevo bene come accostarmi alla vita perché non l’avevo ancora toccata dentro di me. Ho imparato a farlo mentre ero seduta qui. Poi, d’un tratto, sono stata scaraventata in un centro di dolore umano – su uno dei tanti, piccoli fronti di cui è disseminata l’Europa. E là – sui volti delle persone, su migliaia di gesti, piccole espressioni, vite raccontate – su tutto ciò ho improvvisamente cominciato a leggere questo tempo come un insieme compiuto, e non solo questo tempo. Avevo imparato a leggere in me stessa e così ero in grado di leggere anche negli altri. Era proprio come se le mie dita sensibili sfiorassero i contorni di questo tempo, e di questa vita. Com’è possibile che quel pezzetto di brughiera recintato dal filo spinato, dove si riversava e scorreva tanto dolore umano, sia diventato un ricordo quasi dolce? Che il mio spirito non sia diventato più tetro in quel luogo, ma più luminoso e sereno? A
Westerbork ho letto un tratto del nostro tempo che non mi sembra privo di significato. Ho amato tanto la vita quand’ero seduta a questa scrivania ed ero circondata dai miei scrittori, dai miei poeti e dai miei fiori. E là, tra le baracche popolate da uomini scacciati e perseguitati, ho trovato la conferma di questo amore. La vita in quelle baracche piene di correnti d’aria non contrastava affatto con la vita in questa camera protetta e tranquilla. Non sono mai stata tagliata fuori da una vita per così dire ‘passata’, per me esisteva solo una grande, significativa continuità. Come potrò descrivere tutto ciò? E far sentire quanto la vita sia bella e degna di esser vissuta e giusta, sì proprio giusta? Forse Dio mi concederà quelle poche, semplici parole? Parole che siano anche colorite, appassionate e serie, ma soprattutto semplici? Come posso rappresentarlo con poche parole tenere, leggere e robuste pennellate, il piccolo villaggio di baracche tra cielo e brughiera? Come posso far sì che anche altri leggano dentro a tutte quelle persone – persone che devono essere decifrate come geroglifici, tratto dopo tratto, finché non ci si trova davanti a un unico, grande e comprensibile insieme, incominciato da cielo e brughiera?
Il medesimo concetto è illustrato da un altro autore nel seguente brano.
Hugo von Hofmannsthal
da La lettera di Lord Chandos [1902]

BUR Rizzoli


Per esprimermi brevemente: tutta l’esistenza mi appariva allora in una sorta di continua ebbrezza, come una grande unità: mondo spirituale e mondo fisico non mi sembravano contrapporsi, e allo stesso modo vita di corte e vita animale, arte e non arte, solitudine e compagnia; in tutto io sentivo la natura, negli smarrimenti della follia come negli estremi raffinamenti d’un cerimoniale spagnolo; nella goffaggine di giovani contadini non meno che nelle più dolci allegorie; e in tutta la natura lì sentivo me stesso; quando nel capanno da caccia sorbivo il tiepido latte schiumante che una creatura irsuta mungeva in un secchio di legno dalla poppa di una bella mucca dai miti occhi, non era per me diverso di quando, seduto sulla panca incassata nella finestra del mio studio, suggevo da un in­folio un dolce e schiumante nutrimento dello spirito. L’uno era come l’altro; né l’uno cedeva all’altro in maniera soprannaturale, di sogno, né in potenza fisica, e così procedeva per tutta l’ampiezza della vita, a destra e a sinistra; dovunque io ero dentro, nel centro, né avvertii mai una mera apparenza. Oppure sentivo confusamente che tutto era simbolo e ogni creatura una chiave delle altre, e mi sentivo bene colui ch’ ra in grado di impugnarle una dopo l’altra e così aprirne tante quante poteva aprirne. [... ] Un annaffiatoio, un erpice abbandonato nel campo, un cane al sole, un povero cimitero, uno storpio, una casetta di contadini, tutto ciò può diventare il vaso della mia rivelazione. Ognuna di queste cose e le mille altre simili su cui di solito l’occhio scivola con naturale indifferenza, può assumere all’improvviso per me, in un certo momento che non è affatto in mio potere provocare, un carattere nobile e commovente che tutte le parole mi sembrano troppo povere per esprimere. Sì, anche alla determinata rappresentazione di un oggetto assente può largirsi l’incomprensibile elezione di essere colmata fino all’orlo di quell’onda dolce e improvvisa di sentimento divino.
Perfetto anche questo nel tradurre lo "stato di grazia" del riconoscersi interconnessi a tutto, ma forse anche per il linguaggio più semplice e vicino a quello contemporaneo trovo più efficace ed indimenticabile la descrizione fatta da Etty Hillesum.

Ringrazio il sito www.immaginale.it (e l'amico Carlo per avermelo segnalato) da cui ho tratto i brani inseriti nel presente post.

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